Saturday, 12 October 2013

La pinza triestina

Con il dolce di oggi vi voglio portare "on the road" nella città in cui sono cresciuta, Trieste e per questo motivo scriverò solo in italiano (spero non me ne vogliate).
La pinza è da sempre un pan dolce lievitato tipico della tradizione triestina, assieme a putiza e presnitz. Gli ingredienti sono semplici, di origine contadina, seppur la preparazione non sia altrettanto spiccia. A mio parere, per la pinza ci vogliono delle mani impastatrici esperte, che nel caso di questo dolce non possono essere assolutamente sostituite da mixer ed elettrodomestici. Nella mia famiglia queste mani sono quelle del nonno e della mamma, ed a breve spero anche le mie. Noi tutti siamo grandi amanti e divoratori di pinza, sia quella di pasticceria che quella fatta in casa e c´è chi la mangia inzuppata nel latte, chi con la Nutella, col prosciutto cotto e chi al naturale, prediligendo la parte più o meno cotta, o i tagli gialli dove l´uovo in cottura si addensa.


Al contrario del resto d´Italia, la pinza a Trieste non viene consumata solo durante le festività natalizie o pasquali, ma anche durante tutto il resto dell´anno e questo a noi piace. Io comunque la prediligo come dolce autunnale da accompagnare ad un tè caldo o una cioccolata. Tra l´altro pubblico questo post giusto in tempo per augurare a tutti buona Barcolana!


La ricetta? Io ne seguo una presa da un libretto fantastico e mezzo sfasciato da numerose consultazioni dal 1972, che ho ricevuto da mia mamma: "Ricette antiche e moderne di Trieste, dell´Istria, della Dalmazia" di Iolanda De Vonderweid. In questo libro sono raccolte moltissime altre ricette di questa zona, la cui composizione, affidata in passato alla tradizione orale, rischiava di venir dimenticata e perduta per sempre. "E - come dicono Luciano Colangeli e Gianfranco Viatori dell´Accademia Italiana della Cucina - sarebbe stato un peccato, non solo perché la cucina rappresenta una componente fondamentale della storia e della civiltà di una terra e delle sua gente, ma anche perché si tratta di cibi estremamente gustosi, in grado di allietare e addirittura di ridare un significato alle nostre mense." Io sono d´accordissimo!


Ingredienti:
1 kg. farina
10 uova
10 gr. di sale
300 gr. zucchero
120 gr. di burro
vaniglia
100 gr. di lievito
buccia di limone e d´arancia
acqua quanto basta

Procedimento:
Far sciogliere il lievito in una tazza con un cucchiaino di zucchero, poca farina e latte tiepido. Lasciar lievitare. Preparare intanto gli ingredienti nel seguente modo: sciogliere il burro, grattugiare la buccia di 1 limone e di 1 arancia e mescolare il tutto in una terrina, cominciando dai tuorli con lo zucchero, aggiungendo un pizzico di sale e tutto il resto. Lavorare a lungo l'impasto con un cucchiaio di legno, lasciar lievitare in luogo caldo coperto con un panno di lana. Riversare dopo mezz'ora o più (quando si è alzato) sul tavolo, lavorare per 1 ora con le mani, infarinando via, via. Provare poi ad infilare un dito nella pasta: se non torna su subito, aggiungete acqua tiepida. Alla fine, la pasta deve risultare liscia e non appiccicosa.  Formare con questa 2 o 3 pinze, lievitarle al caldo, coperte, ungerle poi con tuorlo d'uovo e, con le forbici, fare su ognuna tre tagli a stella.  Metterle una alla volta nel forno non troppo caldo per circa 50 minuti. Far raffreddare e gustare!


Per finire vi voglio lasciare con una poesia di Umberto Saba dalla raccolta "Trieste e una donna", la più bella dedicata alla nostra città. La città che amo e che odio, che voglio lasciare ma che mi manca, che è dolce e amara, giovane e vecchia, che muore e vive, malinconica e gioiosa, immobile e dinamica, tra le onde e il vento che accarezzano la sua "scontrosa grazia". Ah si ecco la poesia:

"Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un'erta,

popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,                                              

è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi

per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva."
Ciao ciao 
Martina




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